MIUR / Linee guida per “l’educazione al rispetto”: tra vigilanza cattolica, differenza sessuale e pensiero “anti-gender”

sabato 4 novembre 2017

Venerdì 27 ottobre 2017, la Ministra Valeria Fedeli ha presentato le tanto attese Linee guida Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione, per l’attuazione del famoso e omonimo comma 16 dell’art. 1 della legge sulla “Buona scuola”.
Tralasciando i dovuti richiami a normative nazionali, europee e internazionali presenti nel testo, è utile interrogarsi sul perché il quotidiano “Avvenire” insieme al Comitato Difendiamo i Nostri Figli (CDNF) e il suo leader Massimo Gandolfini salutano con grande entusiasmo i contenuti delle linee guida che, ai loro occhi, rispettano le loro richieste e le loro attese.


Già nel maggio 2016, il CDNF chiedeva che:
“- si leghi il concetto di genere a quello di sesso, onde evitare le derive ideologiche che hanno portato alla moltiplicazione scriteriata di infinite, presunte “identità di genere”; - si richiami espressamente la circolare del 15 settembre 2015, prot. AOODGSIP n. 1972 ove afferma “che tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo”;
E così fu.


È interessante notare la strategia dell’ambiguità secondo la quale le linee guida - che effettivamente richiamano, citandola, la circolare del 15 settembre 2015 (in pieno conflitto “gender”, la circolare intendeva rassicurare i genitori in preda al panico) - stabiliscono che non si tratta di far entrare fantasiose “teorie del gender” o “ideologie” estranee alle pratiche educative nelle scuole - leggi: tutta questa questione del “gender nelle scuole” è una grande e fuorviante “truffa culturale” (cfr. Ministra Giannini) qui si parla di educazione alla parità, alla diversità, al rispetto!
Tuttavia, con queste formulazioni ambigue, si lascia anche intendere che il MIUR è di fatto contrario all’introduzione di pratiche educative “ideologiche” (quindi ci sarebbero pratiche ideologiche da contrastare) ispirate a visioni “ideologiche” del concetto di genere, del maschile e del femminile, ecc. che chiamiamo dunque “ideologie gender” - leggi: Egr. Sig. Gandolfini & Co. abbiamo accolto la sua richiesta, abbiamo scritto nero su bianco che “il gender” non entrerà nelle scuole, adottando in questo senso il punto di vista dei “no-gender”.
Considerato che la lista dei programmi “gender” è realizzata dagli amici di ProVita Onlus, o da quelli di Generazione Famiglia che schedano le attività delle scuole attribuendo semafori rossi, gialli o verdi, è evidente che sarà facile impugnare tali linee guida per bollare tale o tal altra azione come “gender” e dunque dichiararla proibita in nome delle indicazioni del MIUR e, soprattutto, dei gruppi “no-gender”.


Emanuele Di Leo, presidente di SteadFast Onlus e co-fondatore del CDNF

Ma chi ha scritto queste linee guida?

Un tavolo di lavoro istituito dal MIUR presieduto “dal Direttore generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione o suo delegato: Giuseppe Pierro” e composto da “Agnese Canevari, Anna Paola Sabatini, Mario De Caro, Alberto Maria Gambino, Chiara Giaccardi, Alberto Melloni, Stefano Pasta, Graziella Priulla, Cecilia Robustelli, Maria Teresa Russo, Maria Serena Sapegno, Andrea Simoncini”.
Vi troviamo, per la componente di impronta o ispirazione cattolica:
  • Alberto Maria Gambino, Presidente nazionale di Scienza & Vita, prorettore dell’Università Europea di Roma, università della “Congregazione dei Legionari di Cristo” (per chi non lo sapesse);
  • Andrea Simoncini, costituzionalista e leader di Comunione e Liberazione;
  • Alberto Melloni, storico del cristianesimo, cattolico progressista, vicino alle posizioni di Nunzio Galantino (attuale segretario generale della CEI), molto critico nei confronti del Family Day;
  • Stefano Pasta, giornalista per Famiglia Cristiana (tra altre testate), interessato ai temi del razzismo e della discriminazione - che sulla sua pagina Facebook si felicita di questo documento che “che dovrebbe porre fine alle polemiche (strumentali) sulle "teorie gender" di alcuni mesi fa”;
  • e infine, last but not least, Chiara Giaccardi, professoressa ordinaria all’Università Cattolica di Milano, promotrice di un cattolicesimo “gender friendly” contro i radicali “no-gender” e contro i radicali “pro-gender”, che invoca però, allo stesso tempo, sempre sulle pagine di “Avvenire”, un “realismo evangelico” per disinnescare “il gender”.
Per la componente di esperte di parità e di genere, troviamo alcune studiose e teoriche legate al femminismo della differenza, tra cui Maria Teresa Russo e Maria Serena Sapegno. È peraltro abbastanza evidente l’ispirazione “differenzialista” del testo, quando si afferma che “nascere uomini o donne crea appartenenze forti, è la pietra angolare dell’identità, informa di sé l’intero orizzonte esistenziale: è la prima condizione con cui ogni individuo si pone, e ne riceve opportunità e risorse ma anche limiti. Tutti gli aspetti della vita quotidiana ne sono connotati”, o che “dall’esperienza dell’essere tutt’uno con la madre si esce nella lenta necessaria costituzione di una soggettività separata”, o ancora nella sezione relativa al “femminile e al maschile nel linguaggio”.
Non si tratta qui di entrare nel merito della pluralità interna del campo cattolico e del campo femminista, né di discutere delle posizioni dell’uno e dell’altro campo, ma di porre l’accento sugli effetti che produce questo lavoro congiunto tra istanze che si pongono come obiettivo comune (ma per ragioni diverse) il progresso di genere.
L’aspetto interessante di questo incontro tra un cattolicesimo progressista e un progressismo femminista è il comune richiamo a un’accezione moderata del concetto di genere, che punta il dito sulle disuguaglianze di genere restando però ancorata saldamente all’idea che “l’“identità (l’essere) della persona” ha origine nella differenza sessuale (e deve restare all’interno di questo fondamento originario) e che considera dunque che “non c’è alcuna ragione per cui nell’incontro tra differenze, che dà origine alla vita, ci debba essere una gerarchia” (p. 6).
Troviamo cioè la convergenza tra un pensiero cattolico femminista-compatibile e un pensiero femminista catto-compatibile (si veda anche la discussione sulla “differenza sessuale” proposta da Lorenzo Bernini qui o qui sulla contestazione del concetto di genere e dei suoi sviluppi da parte di alcune femministe della differenza sessuale, tra cui la Sapegno stessa per la quale il queer è “un delirio”) che contesta la “deriva” “radicale” delle teorizzazioni sul genere e sulla sessualità dei movimenti e degli studi femministi materialisti, lesbici, gay, trans e queer, che pongono al centro dell’analisi e della critica politica l’ordine sessuato e sessuale, e dunque le norme sociali, spostando il focus dal fondamento biologico del simbolico alla costruzione sociale della “natura”, del “biologico” e delle “identità”.
Un’accezione moderata che rifiuta, per esempio, l’espressione “decostruzione degli stereotipi”, giudicata dallo stesso “Avvenire” (che si fa portavoce della componente cattolica che ha potuto lavorare sulle bozze del testo) come troppo ambigua e, forse, troppo “gender”.
Questa inaspettata (o prevedibile forse?) convergenza di quello che potremmo definire progressismo di genere contesta teorie e discorsi (bollandoli di ideologici) che non vedono nel presupposto epistemologico della differenza sessuale “che dà origine alla vita” (e qui non è possibile non vedere un monito contro il riferimento alle esperienze di omogenitorialità che, come sappiamo, sono oggetto di censura nella scuola pubblica) uno strumento di emancipazione e di lotta contro le disuguaglianze e le discriminazioni, bensì uno strumento che traccia confini eteronormati e eteronormativi, facendo distinzioni tra “buoni” e “cattivi” studi di genere o tra “buone” e “cattive” femministe.
Per concludere, attraverso lo strumento del progressismo di genere, questo documento, introduce una filosofia dell’educazione di genere schiacciata sulla cosiddetta “complementarietà biologica, psicologica e sociale della differenza sessuale”, cara alla teologia vaticana.
Ovvero come pensare il sesso, il genere e la sessualità nei limiti eteronormati della “dualità” e dell’“alterità” maschio-femmina, bambino-bambina, uomo-donna; come pensare la lotta alle discriminazioni senza mai nominare l’omofobia e la transfobia; come pensare il concetto di genere con gentile e cortese rispetto della dottrina cattolica e della differenza sessuale; come pensare il genere con un pensiero “anti-gender”.
Sic.

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