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DA CONFINDUSTRIA UN'IDEA: LA SCUOLA DEI PADRONI

venerdì 30 ottobre 2015 · Posted in

Il vademecum della confindustria sull’alternanza scuola-lavoro merita senz’altro un volantino: che aspettiamo a leggere i decreti attuativi ed altro quando tanto le direttive sono già scritte lì?
 
Confindustria ha annusato l’affare e ci si è buttata a pesce: leggere in particolare pag 39-40 dove ci sono le 10 richieste della confindustria. I giornali hanno dato spazio alla più banale (la n. 10, lo status dello studente in alternanza) ma i nodi sono: chi paga e chi intasca (ovviamente, nell’ordine, lo stato e le imprese, sotto forma di sgravi fiscali ed incentivi, punto 1 e punto 9), chi si assume l’onere del lavoro di supporto (la scuola, punto 2 e 4: nella legge 107 la formazione sulla sicurezza è attribuita al tutor aziendale e non alla scuola), chi si prende i meriti (l’impresa, punto 3) chi “assume la regia” (testuale) dell’operazione (sedi territoriali della confindustria, punto 6). Quanto agli studenti devono avere ben chiaro che devono assoggettarsi con docilità e quindi ben tre punti incardinano l’alternanza nell’esame di stato e nel voto finale (punti 5-7 e 8)
 
Più chiaro di così!!!
Spulcialndo qua e là:
 1 – come’era bello quando si imparava a bottega!  (pag. 9):
 Alternare studio e lavoro come metodologia per un apprendimento efficace
non è una novità di per sé. In Europa è una prassi diffusa, in Germania è
un sistema consolidato e di riferimento internazionale, ma in fondo esso
non è che un derivato moderno del modello di apprendistato della bottega
cinquecentesca italiana da cui molto deriva della nostra capacità di maker
creativi.
 
leggete poi pag. 12-13 dove dicono che l’alternanza in qualche modo deve “permeare la didattica”, cioé deve riuscire a modellare la scuola sulle esigenze dell’impresa.
 
pag 19: spiegano cosa sono i laboratori territoriali per l’occupabilità
 Per incrementare il collegamento scuola-impresa-territorio sarà possibile
attivare i “laboratori territoriali per l’occupabilità” che consentiranno alle
imprese, alle università e agli enti pubblici, di collaborare con le scuole per
orientare le attività formative verso settori strategici del Made in Italy e
per fornire servizi propedeutici all’inserimento del giovane nel mercato del
lavoro. I laboratori, costituiranno spazi di incontro tra scuola e territorio
dove sperimentare nuovi percorsi di “didattica laboratoriale” che sarà
possibile attivare anche in reti di scuole e nei poli tecnico-professionali.
Aperti anche al di fuori dell’orario scolastico, i laboratori potranno
contribuire a contenere l’alto tasso di abbandono scolastico (17% media
nazionale con punte del 25,8% al Sud) e a fare della scuola un punto di
riferimento nella realtà sociale e produttiva di un territorio.
 
pag. 19 gli insegnamenti opzionali:
 Si apre, infine, anche la possibilità di modificare il curriculum dello studente
attraverso l’inserimento di insegnamenti opzionali nel secondo biennio e
nell’ultimo anno, insegnamenti che saranno finalizzati all’orientamento e
all’accesso al mondo del lavoro. In questo caso il contributo delle imprese
potrebbe essere di grande supporto alla scuola, sia nell’individuazione delle
materie da inserire, sia nello svolgimento delle attività degli insegnamenti
stessi.
 
pag. 21 un’opportunità per la scuola:
 L’alternanza scuola-lavoro non è una nuova disciplina che si aggiunge alle
1.056 ore di insegnamento che ogni studente è già chiamato ad affrontare
nelle scuole secondarie di secondo grado. È una nuova metodologia
didattica che comporta un ripensamento della stessa funzione educativa,
formativa e socializzante della scuola nel suo rinnovato rapporto con
l’impresa. Non è possibile introdurre l’alternanza scuola-lavoro con
successo senza modificare la struttura organizzativa, l’impianto didattico e
il modello pedagogico della scuola italiana.
 
pag. 22: ancora sull’opportunità per la scuola
L’attenzione all’employability permette alla scuola di aumentare il suo prestigio e il suo ruolo socio-economico
nel territorio e le fornisce anche un’opportunità per realizzare in concreto
l’autonomia scolastica e per valorizzare gli insegnanti più aperti e motivati
al mondo produttivo.
 
pag. 29 le azioni concrete da fare nelle scuole per favorire il cambiamento (pag. 29-30) tra cui:
 5 - organizzare e realizzare nei primi mesi di scuola azioni specifiche
di formazione per tutti i docenti al fine di rivedere la struttura
organizzativa delle discipline, rivisitando le consolidate metodologie
trasmissive del sapere nell’ottica di percorsi sviluppati per
competenze e integrati con esperienze lavorative reali o simulate;
 
6- organizzare nei “dipartimenti disciplinari” una progettazione
dell’azione formativa con obiettivi definiti, competenze da far
raggiungere agli studenti, tempi e modalità didattiche, al fine di
poter poi individuare le azioni da svolgere a scuola o in azienda per
il raggiungimento delle skills richieste.

FaQ sul comitato di valutazione e il bonus per premiare i docenti.


LA SCUOLA AZIENDA ED I PRESIDI PODESTA:

 l Ministero dell'istruzione ha pubblicato una serie di FaQ sul comitato di valutazione e il bonus per
premiare i docenti.
Da quale anno scolastico parte la valorizzazione del merito del personale docente nelle istituzioni scolastiche?
Si parte subito con l’anno scolastico 2015/2016.
La legge 107 al comma 126 evidenzia che, per la valorizzazione del merito del personale docente, a decorrere dall’anno 2016 viene costituito presso il Miur un apposito fondo del valore di 200 milioni di euro rinnovato di anno in anno.
Quale sarà la somma destinata ad ogni scuola?
Un decreto specifico del Ministro ripartirà il fondo a livello territoriale e tra le istituzioni scolastiche in proporzione alla dotazione organica dei docenti, considerando altresì i fattori di complessità delle istituzioni scolastiche e delle aree soggette a maggiore rischio educativo. Comunque il livello medio di finanziamento per ogni scuola su cui è possibile iniziare a fare delle ipotesi è di mediamente 24.000 euro.
Il fondo è rivolto a tutti i docenti?
Il fondo è indirizzato a valorizzare il merito del personale docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado presenti sui posti della dotazione organica (posti comuni, sostegno, irc). Viene definito “bonus” in quanto è da considerare come una retribuzione accessoria che può essere confermata o non confermata di anno in anno in relazione ai criteri stabiliti e alle valutazioni ricevute.
Chi stabilisce il bonus per i docenti?
I criteri vengono stabiliti dal rinnovato Comitato di valutazione (vedi composizione in comma 129) mentre l’assegnazione della somma, sulla base di una motivata valutazione, spetta al Dirigente scolastico. È indubbio che la maggior o minor definizione dei criteri implicherà la minor o maggior discrezionalità del Dirigente scolastico, ma queste decisioni sono lasciate all’autonomia gestionale delle istituzioni scolastiche.
 Il bonus ha una cifra minima ed una massima a cui attenersi per ogni docente?
No, non ci sono cifre di riferimento in quanto il tutto è determinato dai criteri del Comitato e dall’applicazione attraverso i rilievi e le valutazioni del Dirigente.
Comunque, bisogna tenere in considerazione che il fondo è indirizzato specificatamente al merito professionale del personale docente, prefigurando di conseguenza dei criteri che sappiano effettivamente rilevarlo e valutarlo per poi promuoverlo e valorizzarlo. Più i criteri saranno condivisi ma nello stesso tempo stringenti, puntuali, rilevabili, misurabili, valutabili più probabilmente implicheranno una differenzazione fra i docenti e nello stesso tempo un consenso in quanto andranno effettivamente a premiare il merito.
Come vengono “scelti” dal Collegio dei docenti gli insegnanti che fanno parte del Comitato di valutazione?
La legge 107/2015 non indica procedure e modalità per la scelta dei componenti proprio per favorire l’autonomia delle istituzione scolastiche. Pertanto è competenza dell’istituzione scolastica definire in modo autonomo come “scegliere” i docenti.
Per la “scelta” dei due componenti del Comitato di valutazione da parte del Collegio dei docenti è prevista la presentazione di liste come per altre elezioni?
Il Collegio può autonomamente definire le modalità di scelta, prevedendo od escludendo autocandidature, presentazione di liste, proposte di candidature, ecc.
Trattandosi di scelta di persone, si ritiene, comunque, necessaria la votazione a scrutinio segreto.
Come vengono “scelti” dal Consiglio d’istituto il docente, i genitori (o lo studente per gli istituti d’istruzione secondaria di II grado) che fanno parte del Comitato di valutazione?
Come per il Collegio dei docenti, il Consiglio d’istituto può autonomamente definire le modalità di scelta dei tre componenti da inserire nel Comitato, prevedendo od escludendo autocandidature, presentazione di liste, proposte di candidature, ecc.
Trattandosi di scelta di persone, si ritiene, comunque, necessaria la votazione a scrutinio segreto.
Gli eleggibili nel Consiglio d’istituto devono essere componenti di quell’organismo?
La scelta può avvenire non necessariamente nell’ambito del Consiglio, in quanto la “rappresentanza” può essere intesa in senso lato, come possibile individuazione di rappresentanti anche all’esterno del Consiglio (es., membro di Consiglio di classe, ecc.).
Chi nomina il componente esterno?
Il componente esterno è nominato dall’Ufficio scolastico regionale fra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici. Il MIUR fornirà a breve indicazioni agli Uffici scolastici al fine di tenere alcuni criteri comuni su tutto il territorio nazionale, mettendo così i Comitati nella condizione di svolgere da subito il loro lavoro.
 Come si può assicurare negli istituti comprensivi la rappresentanza dei diversi settori presenti (infanzia, primaria, secondaria di I grado)?
Sull'opportunità di prevedere la rappresentanza dei vari settori decidono autonomamente gli organi collegiali di istituto
Come si procede nella scelta dei membri del Comitato nei CPIA, negli Istituti omnicomprensivi, nei Convitti ed Educandati e nelle Scuole militari?
Attualmente in queste istituzioni scolastiche particolari opera normalmente un commissario straordinario che provvederà a individuare i tre componenti previsti (docente, genitore/studente). Poiché il DPR 263/2012 ha previsto che nei CPIA la rappresentanza dei genitori è sostituita con la rappresentanza degli studenti, il Commissario straordinario provvederà a individuare, oltre al docente, due studenti al posto dei due genitori
Quando si può ritenere che il Comitato è validamente costituito?
Una norma di carattere generale sulla costituzione degli organi collegiali (art. 37 del Testo Unico) prevede che l'organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza. Ciò vale, ad esempio, se il Consiglio d'Istituto o il Collegio dei docenti non provvede volontariamente alla scelta dei componenti di sua spettanza

UNA GIORNATA DI ORDINARIA REPRESSIONE "DEMOCRATICA"


Si vanno moltiplicando i segnali inquietanti di una stretta repressiva contro
qualsiasi movimento che interferisca con la pseudo-legalità democratica del Partito della Nazione.
 
Dopo i gravi fatti di Bologna, anche Pisa diventa teatro di un’operazione esplicitamente intimidatoria e brutale con decine di poliziotti mobilitati, addirittura con le armi in pugno, contro un’occupazione di studenti universitari nell’area ex-Gea, assai appetibile per qualcuno dal punto di vista di una possibile speculazione edilizia, cosa a cui Pisa è abituata da tempo.
 
Infatti, la giustificazione, assolutamente inconsistente, è quella di una richiesta di intervento per impedire la sottrazione di libri conservati in pacchi nell’edificio. La scusa è meschina e chiaramente provocatoria, visto la mancanza di qualsiasi cura e controllo per i preziosi libri abbandonati nell’area e, più in generale, lo stato di incuria e degrado in cui versano le decine di strutture universitarie (prime tra tutte la Sapienza), l’abbandono delle biblioteche, private di personale e lasciate all’indifferenza del mondo accademico, sedicente amico della cultura.
 
Lattribuzione di presunte sottrazioni di libri da parte degli studenti occupanti sa di beffa, oltre che di provocazione, mentre il vero furto di cultura è quello operato dal Governo, dall’Università stessa e dagli Enti Locali che tagliano fondi per l’istruzione e la formazione culturale e lasciano in stato di abbandono decine di biblioteche che sono costrette a chiudere per mancanza di risorse e di personale.
 
L’intervento poliziesco mostra inoltre un salto di qualità nel grado della repressione in una città in cui i rapporti di piazza erano abbastanza contraddistinti finora da una certa ragionevolezza per evitare quanto più possibile scontri e inutili contrapposizioni. Già dalle ultime settimane, le forze dell’ordine avevano mostrato sempre di più i muscoli e in questo caso, invece, hanno agito cercando chiaramente lo scontro, inviando un segnale chiaro: ogni forma di opposizione, anche la più civile e nonviolenta, è assolutamente impraticabile perché non ci sono più margini di tolleranza per una interpretazione mistificante della legalità, che si mescola e nasconde soprusi, degrado, incuria, affarismo, sfruttamento e speculazione.
 
Il demonazionalismo renziano, dai tratti autoritari del decisionismo craxiano, sta diffondendosi nel Paese con effetti nefasti: così, vediamo che la difesa della legalità si attua colpendo gli studenti e lanciando un segnale contro tutti coloro che intendano alzare la testa contro la violenza del governo: lavoratori, comitati territoriali, associazionismo sociale e sindacale, movimenti per la difesa dei diritti all’abitare e tutto quello che si contrappone alla propaganda e alla devastazione del governo nazionale.
 
I vertici del PD che amministrano questa città, proni ai poteri forti come l'Università e alla cupola del malaffare speculativo, incapaci di riconoscere la penetrazione malavitosa e mafiosa, interpretano pedissequamente la malsana idea di modernizzazione renziana, fondata sulla svendita del patrimonio pubblico, sul malaffare e la corruzione, distruggendo ogni parvenza, oltre alla sostanza, di sinistra democratica.
 
La battaglia per la sicurezza, il decoro, la legalità portata avanti dal Sindaco Filippeschi, assieme al Prefetto Visconti, aveva già un sapore vagamente/piuttosto reazionario, ma adesso si tinge pienamente di colori autoritari, con il ripristino dell’ordine e della disciplina sociale: oggi si reprimono gli studenti che difendono il diritto allo studio, domani si colpiranno precari e lavoratori, a tutto vantaggio degli interessi di privati, padroni e speculatori, che devono essere tutelati e lasciati liberi di fare affari senza che nessuno denunci e si opponga agli opachi intrecci tra poteri che dominano la nostra città.
 
CONFEDERAZIONE COBAS PISA

i post-schiavi dell'alternanza scuola lavoro

Stavolta la Confindustria ha dato un “compito a casa” alla ministra Giannini che da brava alunna scrive il suo compitino e la Confindustria lo pubblica sul suo giornale.
Di sicuro la Confindustria ha gradito perché, anche se la ministra si dimostra poco ferrata sulla sua riforma – ma non è grave, probabilmente gliel’ha scritta qualcun altro – tanto da dimenticare che l’alternanza scuola lavoro è 400 ore nel triennio nei professionali e tecnici, per il resto l’alunna si dimostra molto brava, ad es. nel fare le citazioni giuste, come l’esempio della bottega rinascimentale, vero faro-guida per la scuola di oggi – esempio ripreso pari-pari dal dossier della Confindustria sull’alternanza scuola-lavoro, ed è brava anche nel toccare i tasti giusti, come la leccatina sul ruolo fondamentale delle “multinazionali tascabili” italiane o ancora dove  ricorda che il miur su sta roba dell’alternanza ci sta mettendo tanti soldi (dieci volte di più dell’anno scorso!)
A buon intenditor...
 Silvana Vacirca FI
 p.s. l’unica cosa che non si capisce è il titolo: che c’entra Pompei? Nell’articolo non ce ne è traccia. Ma forse voleva dire che alla prossima assemblea del personale, a tenere aperto il sito archeologico ci possono mandare i ragazzi in alternanza scuola-lavoro. Poi il passo è breve: magari potrebbero pure mandarli a tenere aperto quando scioperano i dipendenti.
 
Ecco l’articolo

Scuola-lavoro, il futuro di Pompei

 
L’alternanza Scuola-Lavoro è un punto fondamentale della Legge 107/2015, cosiddetta “La Buona Scuola”. Promuove e incardina nell’ordine disciplinare dell’istruzione un numero di ore (200 per i Licei, 300 per gli Istituti Tecnici Professionali, durante l’ultimo triennio con orari anche pomeridiani) che lo studente trascorre presso imprese ed enti, pubblici e privati. Consentitemi di dirlo con chiarezza: è il più ambizioso tentativo di ribaltamento dello schema educativo della scuola italiana, ancora incardinato sullo schema «prima imparo, poi faccio».
Da quest’anno la direzione cambia: la pratica diventa strumento di apprendimento e di potenziamento delle competenze.
Non per copiare la Germania, vorrei sottolineare, ma per copiare l’Italia che fu e l’Italia che funziona: quella delle botteghe rinascimentali, quella dell’innovazione diffusa delle nostre multinazionali tascabili, per cui vivere e comprendere la bellezza e il lavoro che sta dietro di essa diventa un elemento fondante del gusto, dello stile, della cultura italiana.
L’alternanza supera culturalmente lo stage: propone una formazione congiunta che accade nella realtà del lavoro. Rilancia, attraverso un attento processo di controlli, verifiche, certificazioni elaborate da docenti e da tutor delle imprese, il dinamismo laboratoriale, innovativo e creativo di una Scuola che torna ad essere un’agenzia del territorio, il soggetto protagonista che sa orientare, che non rincorre il lavoro, ma coglie e inventa nuove opportunità al lavoro stesso.
È un progetto strategico esecutivo e strutturale: dal 2016 il Miur investe sulle scuole in alternanza 100 milioni di euro l’anno. Più di dieci volte l’anno scorso. L’obiettivo primario è mettere lo studente al centro di processi curriculari e disciplinari rigenerati da un’esperienza di formazione congiunta costruita attraverso l’apertura della scuola al mondo esterno.
Una formazione che riduce dispersione scolastica e favorisce non solo e non tanto la professionalizzazione – i lavori che faranno i nostri figli tra dieci anni ancora non esistono – ma anche le competenze trasversali, la creatività, l’etica della responsabilità, il lavoro in gruppo. In una parola, diamo basi solide a un nuovo protagonismo delle nuove generazioni.
Nel modello di alternanza all’italiana che stiamo costruendo, il lavoro non diventa strumento di apprendimento solo per i ragazzi dei tecnici e dei professionali, ma anche per i loro colleghi che hanno scelto i licei. In questo caso la collaborazione con gli enti locali, e con le istituzioni culturali del nostro Paese diventa essenziale.
Un’istruzione che miri ad una formazione critica, prammatica, processuale, di reale apertura alle identità dei territori e al valore della cittadinanza attiva, trova nel patrimonio culturale un’occasione di formazione essenziale. L’alternanza scuola lavoro può essere lo strumento che sancisce l’alleanza tra istruzione e cultura.

Legge 107, mobilitiamoci per difendere la libertà d’insegnamento

la risposta a Marina è lo sciopero generale della scuola indetto il 13 novembre, con manifestazione nazionale a Roma. I cobas e l'autorganizzazione continuano le mobilitazioni e le lotte contro la malascuola della legge 107, i sindacati di stato, orfani della concertazione (per volontà governativa che l'ha superata nei rapporti di classe) stanno sbavando per un posto al tavolo delle trattative per frimare un suicida contratto normativo che fagociterà la legge 107 al suo interno.  I pompieri delle lotte vanno individuati nei 5 sindacati che da settembre stanno spegnendo qualsiasi forma di mobilitazione e lotta dei lavoratori della scuola, cercando in tutti i modi la collabozionee col governo amico per ottenere, come cagnolini scodinzolanti, un boccane lanciato dall'alto. Sindacati gialli che hano detreminato negli ultimi 20 anni, con la concertazione, le leggi antisciopero, l'attacco alle pensioni ed ai servizi, la precarizzazione del lavoro e delle vite e -come afferma Creemaschi che finalmente è uscito dalla CGIL (meglio tardi che mai)- lo scambio  tra i tagli ai diritti dei lavoratori vs privilegi per la casta sindacale. 
franco coppoli, cobas Terni
di Marina Boscaino,  MicroMega  26.10.2015.  
Siamo in una fase di grande incertezza e di posizionamenti complessi, in particolare nel mondo sindacale. Ci troviamo di fronte al silenzio pressoché totale delle associazioni e dei soggetti che potrebbero in qualche modo intervenire per sollevare le questioni relative ad un testo di legge – la 107/15, la sedicente “Buona Scuola” – imposto con il voto di fiducia contro un dissenso quasi totale. Siamo delusi dalla mancata promessa di un “Vietnam in ogni scuola” con l’inizio del nuovo anno scolastico, che ha fatto invece registrare cadute di tensione (e do attenzione) sul tema caldo dell’ultimo anno, la scuola.
Vediamo collegi dei docenti proni ed acquiescenti, sfiduciati o disorientati, che, essendo passata la legge, ritengono che la battaglia sia esaurita, dimenticando o addirittura ignorando il fatto che esistono ancora le armi (le “fatte salve” prerogative degli organi collegiali) per il contrasto e – ancora di più – le deleghe in bianco previste dalla legge al Governo, sulle quali si può e si deve intervenire.
E così navighiamo più o meno a vista di fronte ad alcune emergenze: il bonus per il presunto merito; la questione dell’accredito di 500 euro, gentile concessione del governo-padrone, che ricompensa con donazioni una tantum e non attraverso la norma contrattuale; l’elezione del Comitato di Valutazione, al momento la più urgente.
Il Comitato di Valutazione previsto dalla legge 107 è il frutto concreto della progressiva rivisitazione del testo originale (che prevedeva il totale arbitrio del dirigente nell’assegnare i fondi per il merito e pertanto la sua appropriazione delle principali prerogative degli organi collegiali), conseguente al montare del dissenso e della mobilitazione. Nei passaggi parlamentari che si sono susseguiti prima del voto di fiducia in Senato, il testo è così andato apparentemente “addolcendo” le sue iniziali asperità; queste modifiche non erano segnale di ascolto delle ragioni della scuola,  ma conferma della astuzia demagogica del premier e del suo staff: qualche leggera concessione ad una falsa democrazia per continuare ad andare avanti come treni.
Il Comitato di Valutazione, così come la legge 107 lo ha ridefinito, è presieduto dal dirigente e comprende 2 docenti scelti dal collegio, 1 docente, 1 genitore e 1 studente (alle superiori) nominati dal consiglio di Istituto e un funzionario inviato dall’Ufficio Scolastico Regionale. Le sue funzioni sono di diverso tipo perché riprendono anche le prerogative precedenti, come la valutazione dell’anno di prova dei docenti neoassunti; al netto della composizione, la fondamentale novità è il fatto che il Comitato deve definire i criteri sulla base dei quali il dirigente premierà con un bonus in denaro i docenti meritevoli.
La legge fissa alcune categorie generali, prevedendo che questo avvenga sulla base:
“a) della  qualità dell’insegnamento e del contributo  al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti;
b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche;
c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale”.
Riprendo rapidamente alcune considerazioni sulle quali mi sono soffermata diverse volte. È testimoniata l’assoluta inconsapevolezza da parte del Miur delle condizioni interne ai singoli istituti scolastici, a volte egemonizzati da un vero e proprio gruppo di potere, che agisce più o meno arbitrariamente, con atteggiamento proprietario, in palese violazione della dimensione collegiale, che determina in modo forzoso gli indirizzi della scuola e che può essere ulteriormente rafforzato da operazioni che classifichino il personale in “meritevole” e non.
È poi evidente l’irragionevolezza delle categorie proposte dalla norma. Un’impostazione qualitativa dei criteri di valutazione è opinabile di per sé: come si fa a valutare realmente la qualità dell’insegnamento? Un’impostazione quantitativa sarebbe ancora una volta mirata a premiare il volume di lavoro svolto, ma escluderebbe quello messo in atto in classe, determinando il concreto rischio che siano da considerare “meritevoli” i tanti interpreti di quel disorganico e spartitorio “progettificio” a cui è stato ridotto il POF in molte realtà. È giusto questo?
E quale destino aspetta il docente preparato sulla disciplina e abilissimo nell’instaurare relazioni educative significative, ma incapace di ossequiare il Capo e i suoi accoliti, di improntare eventualmente la didattica a precise direttive, di rinunciare a partecipare democraticamente e criticamente all’esercizio del proprio diritto di parola nelle sedi preposte? E, ancora, di respingere le ottime opportunità che il marketing configura per il mantenimento della scuola, a costo però della rinuncia al mandato che la Costituzione le affida, cioè di strumento di equità sociale e pari opportunità per i cittadini?
Insomma, da qualsiasi prospettiva lo si guardi, il Comitato di Valutazione – oltre tutto presieduto dal dirigente, ovvero da chi deve ricevere e impiegare i criteri per agire, in una paradossale configurazione di quel conflitto di interesse nelle istituzioni di cui il nostro Paese vanta un campionario ineguagliabile – si configura come uno strumento di aggressione intenzionale al principio alla libertà dell’insegnamento. Che non è un residuale privilegio di maestri e professori, ma un principio inserito dai Costituenti dopo la fine politica e la condanna morale del regime fascista a tutela dell’interesse generale, per garantire i giovani cittadini della Repubblica (e pertanto tutti i cittadini) contro ogni forma di pensiero unico e di indirizzo culturale autoritario, con il conseguente obbligo per ciascuna scuola di essere un’istituzione democratica, laica, pluralista, inclusiva.
Sul Comitato di Valutazione si sono già dette e scritte molte cose, anche in contraddizione le une con le altre, in conseguenza delle ambiguità del testo di legge.
Un tema che ha indubbiamente tenuto banco è stato se esso debba configurare o meno un collegio “perfetto”. Il quesito è se – per operare relativamente ad una delle sue funzioni, quella della determinazione dei criteri del merito – il Comitato abbia il vincolo della presenza di tutti i suoi componenti o possa invece operare anche solo con la presenza di alcuni di essi.
Sulla prima ipotesi, con argomentazioni anche molto convincenti, si sono attestati tutti coloro che hanno dato indicazioni di non votare in collegio i  membri del Comitato  di Valutazione, cosa che infatti si è  verificata in varie scuole.
Di contro – e questo non è che uno degli esempi del modo farraginoso e viscoso in cui è scritta la 107 – si è sostenuto che sarebbe opportuno entrare a far parte del Comitato per indirizzare all’assunzione di criteri quantitativi (ad esempio il coordinamento delle classi o dei dipartimenti e altre funzioni strutturali della scuola, che – a causa del progressivo dimezzamento del Fis – sono attualmente sottopagate) piuttosto che qualitativi. Alcuni collegi hanno così eletto i membri del comitato con un “vincolo di mandato”: essere operativo – tra le funzioni che esso ha – sulla valutazione dei nuovi assunti e non sulla determinazione dei criteri per l’assegnazione del bonus-merito ai docenti.
A tentare di dirimere le controversie – e a sottolineare la cialtroneria con cui la legge è stata redatta – è intervenuta una FAQ ministeriale, che su questo punto recita:
Quando si può ritenere che il Comitato è validamente costituito?
Una norma di carattere generale sulla costituzione degli organi collegiali (art. 37 del Testo Unico) prevede che l’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza. Ciò vale, ad esempio, se il Consiglio d’Istituto o il Collegio dei docenti non provvede volontariamente alla scelta dei componenti di sua spettanza.
Nel Paese di Pulcinella (e anche di Renzi) tutto può accadere: mettere una pezza ad una legge scritta con i piedi attraverso una FAQ ministeriale – che giuridicamente non ha alcuna valenza – potrebbe essere un malcelato tentativo di spingere i docenti a non boicottare il comitato.
Detto in altre parole: quanto abbiamo riportato qui sopra NON è la legge. Ma certamente questa interpretazione può indurre alcuni indecisi – rispetto ad un groviglio così inestricabile – ad assumere una certa posizione.
L’incertezza è ulteriormente sottolineata dal fatto che molti sindacati e associazioni (persino l’ANP) stiano dando ai propri dirigenti l’indicazione di andar cauti, cosicché in molti collegi il tema non è stato ancora affrontato.
Il percorso di contestazione del Comitato di Valutazione sembrerebbe determinarsi pertanto attraverso due possibilità: boicottaggio tout court, con il rischio che l’interpretazione del Miur determini invece effetti contro questa posizione, che si basa sulla presunzione del collegio perfetto; oppure scelta di docenti – ma, laddove sia possibile, anche di genitori e studenti – convinti della necessità di non creare discriminazioni e di tutelare la libertà di insegnamento.
Quale posizione assumere dipende, innanzitutto, dai rapporti di forza nei singoli collegi docenti. Prospettiva quest’ultima che, in questo momento di profondo disorientamento e di mancanza assoluta di certezze – oltre a quella di doversi opporre con ogni forza all’arbitrio configurato dalla 107 –, mi pare forse non la più giusta, ma la più praticabile.
C’è da giurare, in ogni caso, che l’azione concreta dei Comitati di Valutazione sarà un ulteriore campo di contenzioso. Ma occorre che – nonostante l’apatia e l’inerzia che troppi docenti stanno piuttosto irresponsabilmente dimostrando in questo momento – ci si renda conto che coloro che la scorsa primavera si sono opposti alla 107, se allora erano davvero convinti e in buona fede, hanno ora una ottima occasione per manifestare il proprio dissenso e fare il proprio dovere di cittadini prima ancora che di docenti nella tutela di uno dei principi costituzionali primari.
Marina Boscaino

La scuola non è un mercato e noi non siamo in vendita.

500 € direttamente in conto corrente, netti ed esentasse. Una cuccagna in tempi di magra e che
magra!
Sono 6 anni che non si vede un € fresco nella scuola, il contratto è ancora bloccato nonostante che la Corte Costituzionale abbia dichiarato illecito e illegittimo il blocco per tutto il Pubblico Impiego, mentre l’aumento dei costi del vivere, in particolare dei servizi, ha continuato ad erodere il nostro misero potere d’acquisto.
Sono uscite ovunque le tabelle che mostrano come gli stipendi degli insegnanti, ancor peggio quelli del personale ATA, sono i più bassi dell’Unione Europea (ce la giochiamo con la Grecia), ma dobbiamo consolarci con la prossima legge di stabilità che – Renzi & Padoan – si sgolano a garantire essere espansiva dei consumi.
Intanto per i lavoratori della scuola sono stanziati mediamente 8 € lordi, 5 netti, al mese. 5€ da contrattare contro 500 a pioggia ed egualitari, un bel assist, fatto in casa, alla Buona Scuola del Renzi, un bello sberleffo al Sindacato, alle RSU, ai docenti e agli ATA.
Dov’è finito il mantra dell’impossibilità di reperire risorse per la scuola?
Quando servono i soldi si trovano.
Ciò a cui mira il governo di Renzi è lampante: saltare a piè pari qualsiasi intermediazione sindacale, qualsiasi contrattazione, definire e disporre immediatamente quello e quanto sia da destinare ai propri sudditi, che non potranno che esser grati per sempre e riconoscenti nelle urne.
Lasciamo perdere qualsiasi discorso serio sull’aggiornamento: ben venuti siano i 500€ ma questi non bastano per comprarci, la scuola pubblica non è in vendita così come non lo sono i lavoratori che la fanno vivere e sanno renderla – nonostante tutti i tagli e le angherie subite – un ambiente vivo culturalmente, cooperativo, efficiente ed efficace. Non lo affermiamo, noi ma la stessa OCSE.
Noi vogliamo, anzi pretendiamo solo ciò che ci spetta di diritto: gli arretrati di sei anni di contratto bloccato, gli scatti di anzianità negati, i compensi, le indennità, i rimborsi che ci sono stati tolti, la rispettabilità e il decoro del nostro operare.
 
Lettera/mozione approvata all'unanimità dal Collegio dell'I.I.S "Ruzza".

E’ in atto in alcuni istituti una grave lesione alle prerogative delle RSU nella contrattazione di istituto

In una recente riunione provinciale dell’ ANP (Associazione nazionale Presidi) è stata data indicazione che la normativa (CCNL 2006-2009) prevede che la del contratto debba avvenire entro venti giorni dal giorno della presentazione della proposta da parte del dirigente scolastico.
Le cose non stanno assolutamente così !
Questa è la tempistica della contrattazione di istituto prevista dal contratto nazionale di lavoro 2006-09 vigente :
1)    La contrattazione inizia con la formalizzazione della proposta contrattuale da parte del dirigente scolastico Art. 6 comma 2 Il dirigente scolastico,nelle materie di cui sopra,deve formalizzare la propria proposta contrattuale entro termini congrui con l’inizio dell’anno scolastico,e, in ogni caso, entro i successivi dieci giorni lavorativi dal’inizio delle trattative. Queste ultime devono comunque iniziare non oltre il 15 settembre”.
2)    Dopo venti giorni dall’inizio delle trattative c’è una verifica delle posizioni delle due parti contraenti Art. 6 comma 5 “Fermo restando il principio dell’autonomia negoziale è nel quadro di un sistema di relazioni sindacali improntato ai criteri di comportamento richiamati di correttezza, di collaborazione e di trasparenza; e fatto salvo quanto previsto dal precedente comma; trascorsi venti giorni dall’inizio effettivo delle trattative, le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa”.
3)    La scadenza della sottoscrizione del 30 novembre Art. 6 comma 2 Se le parti non giungono alla sottoscrizione del contratto entro il successivo 30 novembre , le questioni controverse potranno dalle Parti medesime essere sottoposte alla commissione di cui all’art.4, comma 4,lettera d, che fornirà la propria assistenza”.
Dalla normativa contrattuale sopracitata risulta evidente che i venti giorni dall’inizio delle trattative non rappresentano il termine ultimo della sottoscrizione del contratto bensì una verifica delle posizioni delle parti. Mentre il termine della sottoscrizione del contratto è espressamente indicato alla data del 30 novembre (del resto molti istituti negli anni passati si sottoscrivevano i contratti a dicembre ed anche oltre.
Se vi viene proposta o addirittura imposta questa inesistente scadenza rifiutate dunque questa grave lesione alla contrattazione di istituto, prendete tempo , non firmate alcun contratto e fatelo presente alla sede provinciale COBAS. Fatelo presente anche alle altre RSU dicendo loro di metteresi in contatto con le loro organizzazioni sindacali.
 i Cobas Scuola

LA SCUOLA AZIENDA ED I PRESIDI-PODESTA':

giovedì 29 ottobre 2015 · Posted in

LA SCUOLA AZIENDA ED I PRESIDI-PODESTA':
 l Ministero dell'istruzione ha pubblicato una serie di FaQ sul comitato di valutazione e il bonus per premiare i docenti.
Da quale anno scolastico parte la valorizzazione del merito del personale docente nelle istituzioni scolastiche?
Si parte subito con l’anno scolastico 2015/2016.
La legge 107 al comma 126 evidenzia che, per la valorizzazione del merito del personale docente, a decorrere dall’anno 2016 viene costituito presso il Miur un apposito fondo del valore di 200 milioni di euro rinnovato di anno in anno.
Quale sarà la somma destinata ad ogni scuola?
Un decreto specifico del Ministro ripartirà il fondo a livello territoriale e tra le istituzioni scolastiche in proporzione alla dotazione organica dei docenti, considerando altresì i fattori di complessità delle istituzioni scolastiche e delle aree soggette a maggiore rischio educativo. Comunque il livello medio di finanziamento per ogni scuola su cui è possibile iniziare a fare delle ipotesi è di mediamente 24.000 euro.
Il fondo è rivolto a tutti i docenti?
Il fondo è indirizzato a valorizzare il merito del personale docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado presenti sui posti della dotazione organica (posti comuni, sostegno, irc). Viene definito “bonus” in quanto è da considerare come una retribuzione accessoria che può essere confermata o non confermata di anno in anno in relazione ai criteri stabiliti e alle valutazioni ricevute.
Chi stabilisce il bonus per i docenti?
I criteri vengono stabiliti dal rinnovato Comitato di valutazione (vedi composizione in comma 129) mentre l’assegnazione della somma, sulla base di una motivata valutazione, spetta al Dirigente scolastico. È indubbio che la maggior o minor definizione dei criteri implicherà la minor o maggior discrezionalità del Dirigente scolastico, ma queste decisioni sono lasciate all’autonomia gestionale delle istituzioni scolastiche.
 Il bonus ha una cifra minima ed una massima a cui attenersi per ogni docente?
No, non ci sono cifre di riferimento in quanto il tutto è determinato dai criteri del Comitato e dall’applicazione attraverso i rilievi e le valutazioni del Dirigente.
Comunque, bisogna tenere in considerazione che il fondo è indirizzato specificatamente al merito professionale del personale docente, prefigurando di conseguenza dei criteri che sappiano effettivamente rilevarlo e valutarlo per poi promuoverlo e valorizzarlo. Più i criteri saranno condivisi ma nello stesso tempo stringenti, puntuali, rilevabili, misurabili, valutabili più probabilmente implicheranno una differenzazione fra i docenti e nello stesso tempo un consenso in quanto andranno effettivamente a premiare il merito.
Come vengono “scelti” dal Collegio dei docenti gli insegnanti che fanno parte del Comitato di valutazione?
La legge 107/2015 non indica procedure e modalità per la scelta dei componenti proprio per favorire l’autonomia delle istituzione scolastiche. Pertanto è competenza dell’istituzione scolastica definire in modo autonomo come “scegliere” i docenti.
Per la “scelta” dei due componenti del Comitato di valutazione da parte del Collegio dei docenti è prevista la presentazione di liste come per altre elezioni?
Il Collegio può autonomamente definire le modalità di scelta, prevedendo od escludendo autocandidature, presentazione di liste, proposte di candidature, ecc.
Trattandosi di scelta di persone, si ritiene, comunque, necessaria la votazione a scrutinio segreto.
Come vengono “scelti” dal Consiglio d’istituto il docente, i genitori (o lo studente per gli istituti d’istruzione secondaria di II grado) che fanno parte del Comitato di valutazione?
Come per il Collegio dei docenti, il Consiglio d’istituto può autonomamente definire le modalità di scelta dei tre componenti da inserire nel Comitato, prevedendo od escludendo autocandidature, presentazione di liste, proposte di candidature, ecc.
Trattandosi di scelta di persone, si ritiene, comunque, necessaria la votazione a scrutinio segreto.
Gli eleggibili nel Consiglio d’istituto devono essere componenti di quell’organismo?
La scelta può avvenire non necessariamente nell’ambito del Consiglio, in quanto la “rappresentanza” può essere intesa in senso lato, come possibile individuazione di rappresentanti anche all’esterno del Consiglio (es., membro di Consiglio di classe, ecc.).
Chi nomina il componente esterno?
Il componente esterno è nominato dall’Ufficio scolastico regionale fra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici. Il MIUR fornirà a breve indicazioni agli Uffici scolastici al fine di tenere alcuni criteri comuni su tutto il territorio nazionale, mettendo così i Comitati nella condizione di svolgere da subito il loro lavoro.
 Come si può assicurare negli istituti comprensivi la rappresentanza dei diversi settori presenti (infanzia, primaria, secondaria di I grado)?
Sull'opportunità di prevedere la rappresentanza dei vari settori decidono autonomamente gli organi collegiali di istituto
Come si procede nella scelta dei membri del Comitato nei CPIA, negli Istituti omnicomprensivi, nei Convitti ed Educandati e nelle Scuole militari?
Attualmente in queste istituzioni scolastiche particolari opera normalmente un commissario straordinario che provvederà a individuare i tre componenti previsti (docente, genitore/studente). Poiché il DPR 263/2012 ha previsto che nei CPIA la rappresentanza dei genitori è sostituita con la rappresentanza degli studenti, il Commissario straordinario provvederà a individuare, oltre al docente, due studenti al posto dei due genitori
Quando si può ritenere che il Comitato è validamente costituito?
Una norma di carattere generale sulla costituzione degli organi collegiali (art. 37 del Testo Unico) prevede che l'organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza. Ciò vale, ad esempio, se il Consiglio d'Istituto o il Collegio dei docenti non provvede volontariamente alla scelta dei componenti di sua spettanza

«Boicottiamo i test standardizzati» La rivolta degli studenti in America

Pietra portante del sistema scolastico Usa, sono sempre più contestati sia dai ragazzi
che da genitori e prof. E il governo valuta ritorsioni economiche contro le scuole ribelli
di Carola Traverso Saibante

Manifestazione contro i test standardizzati PARCC davanti alla Mayfield High School di Las Cruces, New Mexico (foto Ap/Robin Zielinski)
Da noi sono arrivati solo da qualche anno con l’introduzione dei questionari Invalsi e continuano a suscitare grosse diffidenze sia nei docenti che fra genitori e studenti. Ma in America i test standardizzati sono parte integrante del sistema scolastico da mezzo secolo. Eppure da qualche tempo anche nella culla dei questionari a risposta multipla qualcosa sembra essersi rotto: i test standardizzati sono diventati oggetto di feroci polemiche e boicottaggi in varie parti del Paese, al punto da costringere le autorità a ripensare il ruolo di queste prove nell’iter educativo.
Dalla Cina all’America con ardore
Onnipresenti in tutti i gradi d’istruzione in America, i «test standardizzati» sono quelle prove di valutazione progettate in modo da garantire condizioni di elaborazione e valutazione uguali per tutti gli studenti che vi si sottopongono, a prescindere dall’istituto scolastico o lo Stato da cui provengono. Messi a punto nella Cina imperiale, sono stati introdotti in Europa e in Nord America via Regno Unito. Gli Usa ne sono diventati accaniti sostenitori: in principio erano foglio matita; oggi si elaborano sul computer. L’ultima generazione di questi test si è adattata alle convinzioni didattiche contemporanee, per esempio enfatizzando il pensiero critico. Rispetto alla generazione precedente, forniscono più materiale per valutare le conoscenze e i progressi degli studenti.
 
Inefficaci, costosi e inadeguati
In circa tre dozzine di Stati americani, in questo semestre gli studenti sono chiamati a sottoporsi a questi test, dagli acronimi come PARCC e SBAC. Ma ecco la novità: per la prima volta c’è chi si ribella arrivando persino al boicottaggio. Il movimento che rifiuta queste prove di valutazione si espande a macchia d’olio, scavalca i confini statali e diventa trasversale: partito dai genitori, ha trovato il supporto del sindacato degli insegnanti e pare ora guidato dagli studenti stessi. Cosa si rimprovera a questi test? Di essere deboli e inefficaci, innanzitutto, nel riuscire a valutare davvero le capacità degli studenti. Una pratica molto costosa per le casse pubbliche, a cui le scuole destinano risorse economiche preziose, che potrebbero essere impiegate per sviluppare metodi d’insegnamento e di valutazione creativi, che riescano a coinvolgere maggiormente gli studenti rispetto a un test a risposta multipla. E ancora: la nuova generazione dei PARCC usati in New Jersey e altri 11 Stati è stata elaborata in collaborazione con un’azienda privata, la Pearson Education, e questa declinazione commerciale non convince, tanto più che i test – se non determinano la promozione degli studenti, giocano un ruolo decisivo nelle possibilità che questi hanno di beneficiare di programmi e aiuti speciali. E incidono sulla valutazione degli insegnanti, di quanto sono stati bravi con i propri alunni, che negli Stati Uniti vuol dire: incidono sul loro salario.
Il caso del New Jersey
Un caso per tutti, forse il più eclatante: quello del New Jersey. In questo Stato a sud di New York, il più popoloso degli Stati Uniti, la rivolta delle famiglie – portata avanti in primis via Facebook - contro i test PARCC (Partnership for Assessment of Readiness for College in Careers), a cui dovevano essere sottoposti tutti gli alunni tra gli 8/9 e i 16/17 anni, ha trovato ampio appoggio nei consigli d’istituto. A febbraio la Commissione Educazione dell’Assemblea dello Stato ha votato all’unanimità tre proposte di legge: moratoria di tre anni sui test; divieto di sottoporvi bambini dall’asilo fino al secondo grado (8 anni d’età), e libertà dei genitori di non farli fare ai figli. In marzo il più grande sindacato degli insegnanti dello Stato ha promosso una serie di feroci spot alla tv anti-test standardizzati. E adesso, mentre i politici stanno vagliando le misure da prendere, sulla scrivania del Ministero dell’Istruzione dello Stato è arrivata un’istanza – promossa da cinque cittadini – affinché stabilisca nuove regole per uniformare il modo con cui i genitori possano rifiutare di far sottoporre i figli al test. Una «petizione a legiferare», procedura rara che scavalca i passaggi legislativi standard e si appella direttamente all’autorità di competenza.
La politica dello «opt-out»
Il New Jersey, come molti altri Stati, non ha una legislazione specifica sulla possibilità degli alunni (e di fatto dei loro genitori) di decidere se chiamarsi fuori, «opt-out», da queste prove, cioè decidere di rinunciare a sottoporvisi. Al primo round di test, il mese scorso, si è chiamato fuori circa il 5 percento degli studenti, e un numero maggiore di defezioni si aspetta per il secondo, il mese prossimo - la protesta coinvolge soprattutto le comunità più benestanti, e per questo è stata bollata da alcuni come un’isteria snob. Le conseguenze concrete di tutto ciò non sono da sottovalutare: le scuole in cui oltre il 5 per cento degli studenti non partecipano ai test sono passibili di sanzioni da parte del governo federale, e teoricamente la perdita di finanziamenti potrebbe colpire gli alunni più svantaggiati. Anche a livello statale queste scuole potrebbero essere punite, e comunque il livello medio della scuola potrebbe risultare compromesso nell’immagine. Non si può ancora dire se e quanto questa protesta farà bene al sistema scolastico, certo almeno porta a una riflessione sul ruolo sempre più pressante di questi strumenti di valutazione, e ricorda a tutti che genitori e studenti sono e devono essere attivamente parte in causa nelle politiche educative del Paese.
 

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