Sciopero!

giovedì 13 novembre 2014

Giacomo Pisani

Il Jobs act ha liberalizzato definitivamente il lavoro precario e sottopagato, ricattabile e intermittente, quel lavoro che già da anni costituisce la sola (o quasi) prospettiva sul mercato. La precarietà non è soltanto un fenomeno legato alla produzione, è un dispositivo che incide sulla vita, segna la temporalità dei nostri progetti, costringe continuamente a ripensarsi in un contesto lavorativo nuovo e ad affrontare ricatti e periodi lunghi di disoccupazione. La precarietà è uno dei dispositivi di assoggettamento per eccellenza, che influisce anche sul modo di rapportarsi agli altri e al mondo e di riconoscersi in esso. Soprattutto quando ad una affermazione così netta della centralità del lavoro a tempo determinato non corrisponde una rimodulazione del welfare che garantisca delle tutele universali – innanzitutto un reddito di esistenza incondizionato – in una costellazione così variegata di condizioni di vita e di lavoro.
Di fronte al jobs act non basta la mediazione sindacale classica. I processi di sfruttamento non investono esclusivamente il posto di lavoro, ma si estendono alla vita in generale e al suo dispiegarsi in una società sempre più attraversata da dispositivi di sussunzione e di messa a valore delle capacità cognitive e di neutralizzazione delle possibilità di relazione. Eppure oggi c’è una generazione che preme alle porte del mondo, è una generazione altamente scolarizzata, composta di giovani in grado di reinventarsi continuamente nei contesti lavorativi a più alto tasso di ricattabilità, disposta ad attraversare lunghi periodi di disoccupazione e a resistere a una società in cui è sempre più difficile trovare spazi di cittadinanza. Il neoliberismo conosce benissimo le capacità di questo soggetto così frammentato ed eterogeneo e isola ogni singolo individuo costruendo percorsi differenziati di sfruttamento e alienazione che impediscono la socializzazione del disagio e la costruzione collettiva di percorsi di messa in discussione dei rapporti di produzione.
Lo sciopero sociale è un momento di rottura, è l’inizio di un percorso di riappropriazione. In un momento in cui la vita stessa è messa a lavoro e il prodotto di una moltitudine precaria caratterizzata da grandi capacità creative è funzionale ad un sistema che non riconosce neanche la cittadinanza sociale dei singoli individui, questi incrociano le braccia e si riprendono il loro tempo. Non è lo sciopero classico, contro il padrone nel posto di lavoro, che detta le condizioni comuni dello sfruttamento costruendo contemporaneamente il proprio nemico. È uno sciopero meticcio, variegato, eterogeneo, che comprende precari, lavoratori della conoscenza, studenti, migranti, lavoratori autonomi a partita iva ecc.
In Italia si sta costruendo un soggetto indisponibile al ricatto, che non fa distinzione fra lavoratori e disoccupati, cittadini e migranti, ma che non appiana le differenze in un soggetto astratto. Lo sciopero sociale parte proprio da questa eterogeneità, che è per il capitale finanziario una risorsa ma al contempo la più grande minaccia alla sua stabilità. Perché è questo soggetto quello che produce, quello che ha il più alto potenziale creativo, il vero motore del capitalismo cognitivo. Il Jobs act, anziché porre davvero la questione del mutamento del modello di produzione, della necessità di valorizzare le funzioni cognitive e di investire su questa generazione, ha degradato in forme ancor più mortifere il lavoro che c’è condannando tutti a inseguire posti di fortuna, dove per tre mesi si darà il meglio di sè con l’acqua alla gola, per poi essere nuovamente risucchiati nelle mille peripezie della vita al tempo della precarietà.
C’è un mondo di vita, di emozioni, di capacità e di continua riproduzione di valori e significati che batte alle porte del mondo e che vuole dirsi in tutte le forme del vivere sociale. È un’energia che rompe le gabbie della precarietà, che non è più contenuta dalle maglie dei ricatti e della sopravvivenza, che vuole attraversare il mondo, lo vuole riempire di passioni e di ciò che sa fare. Perché il futuro non è più arrestabile ed è questa la temporalità in cui viaggia una generazione che venerdì inizia a riprendersi tutto. Il 14 Novembre è il giorno dello sciopero sociale.

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