Perché è importante difendere l'articolo 18

lunedì 6 ottobre 2014

articolo 18 nuovoSull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori stanno dicendo di tutto e di più. La cosa più insensata è il fatto che gli investitori stranieri non vengono in Italia per colpa dell'articolo 18 (avete infatti mai letto di una grande azienda straniera che ha annunciato espressamente di voler venire in Italia solo in caso di abolizione della norma sui licenziamenti?). La porta ai capitali di rapina (o mordi e fuggi), invece, è già stata aperta nel 2012 dalla cosiddetta "Riforma Fornero" quando è stato tolto l'obbligo di motivare l'utilizzo di contratti a tempo determinato (la cosiddetta causalità del contratto). Dopo decreto 34/2014 (cd. Jobs act di Renzi) e la completa liberalizzazione e applicazione del principio di acausalità del contratto a tempo determinato, gli imprenditori possono fare come vogliono, avere 10 assunti a tempo indeterminato e 100 a tempo determinato senza dover spiegare perché (cioè senza dover specificare le esigenze produttive o organizzative). Insomma, il mercato del lavoro italiano è già straflessibile, con una miriade di forme contrattuali precarie ed atipiche oltre alla appena descritta normativa letale sui contratti a termine, e non si capisce quindi come possa essere incredibilmente definito "troppo rigido".
L'articolo 18, infatti, con tutto ciò non ha niente a che fare, perché serve solo a tutelare il lavoratore da abusi, licenziamenti discriminatori oppure da licenziamenti discriminatori mascherati da falsi problemi di natura economica. Ma perché è così importante l'articolo 18? Semplice, perché senza l'articolo 18 saranno solo il ricatto e la paura a regolare i rapporti tra capitale e lavoro, tra imprenditore e lavoratore. Ma c'è di più. L'articolo 18 è l'essenza stessa del diritto del lavoro. Chi mai chiamerà in causa la propria azienda per stipendi arretrati da avere o per mancanza di sicurezza, se la legge permette al datore di rivalersi su di lui con un licenziamento che al massimo sarà sanato con un pagamento di indennità e non con il reintegro, in un momento in cui la disoccupazione è alle stelle? L'articolo 18 non è né causa né stimolo per occupazione o economia, è però l'unica norma che riesce (o meglio, riusciva, prima che la riforma Fornero iniziasse a decapitarla) a tenere in equilibrio e regolare i rapporti tra capitale e lavoro. Se venisse abolito assisteremmo ad una inimmaginabile escalation negativa su salari e sicurezza.
E quelli che non ne possono già ora usufruire? L'esistenza dell'articolo 18 è comunque un elemento di forza per il mondo del lavoro, che poi si esprimerà (in base a quanta forza hanno saputo dargli i lavoratori) nei contratti nazionali di cui poi usufruiranno come base salariale e normativa anche coloro che non ne beneficiano. Se chi oggi è più tutelato, grazie anche all'articolo 18, perde forza nei confronti del capitale, a cascata c'è un arretramento di tutte le forme e situazioni contrattuali. Se peggiora la situazione dell'operaio della grande industria, figuriamoci quella dell'operaio della media e piccola impresa oppure quella dei giovani o dei precari. Il vero obiettivo dell'abolizione dell'articolo 18 è quello di mettere tutto il mondo del lavoro sotto scacco e sotto ricatto per aumentare la produttività e diminuire i salari, in modo da spostare la ricchezza dal lavoro al profitto, proprio come chiedono i grandi capitali internazionali che adesso dispongono di più forza economica degli stati stessi. Oltre al fatto di portare i salari sui livelli serbi o polacchi in modo da favorire investimenti (profitti) ed esportazioni.
È facile capire che una tale situazione è l'aperitivo di un peggioramento delle condizioni di vita di tutti noi (eccetto una minima parte della popolazione che ne beneficerebbe). L'articolo 18 è una delle norme cardine della nostra vita da lavoratori. Non facciamoci abbindolare dai gelatai e venditori di fumo al servizio di interessi a noi lontani e a noi antagonisti. La loro volontà politica è mettere al centro della società l'impresa come soggetto e il profitto come diritto, a discapito di tutto quello che c'è intorno. E lo vogliono raggiungere cancellando una norma che al centro del proprio compito ha la tutela della parte considerata più debole e la giustizia sociale. Ma nel nuovo sistema impresacentrico la giustizia sociale non è contemplata tra gli obiettivi da raggiungere.
Infine, la proposta del prestigiatore di Rignano e dei suoi accoliti di mettere il Tfr in busta paga ogni mese è solo il tentativo di mascherare quello che abbiamo appena detto, cioè la prospettiva di salari da fame.

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