La scuola ingiusta del governo Renzi

martedì 14 ottobre 2014

scuola renzi
Con il consueto stile “social” e un carnevale di cifre, il premier Matteo Renzi ha presentato le linee guida su “La buona scuola” avanzate dal governo. “Non una riforma, non un adempimento burocratico, non un libro dei sogni. Un patto, semplice e concreto”. In pratica, un opuscolo di 136 pagine nel quale si parla di eliminazione del precariato; accesso al ruolo unicamente per concorso; fine delle supplenze; abolizione degli scatti di anzianità e introduzione di quelli per merito; formazione obbligatoria; valutazione; dati e profili online della classe docente; rafforzamento dell'alternanza scuola-lavoro e ingresso massiccio dei privati.
Il dato più suggestivo riguarda il numero sulle assunzioni. Il governo propone, a partire dal settembre 2015, un piano straordinario che coinvolgerebbe da subito circa 150.000 docenti: circa 140.000 precari storici presi dalle Graduatorie A Esaurimento e circa 10.000 dai vincitori e idonei del concorso del 2012; dal 2016 al 2019 altri 40.000 ingressi programmati sui pensionamenti di cui potranno beneficiare i vincitori di un nuovo concorso. A prima vista sembrerebbe un atto di bontà, o quanto meno di attenzione verso i precari: il provvedimento svuoterebbe le liste di coloro che ogni anno vengono assunti a settembre e licenziati a fine giugno. Ma al di là di ogni facile entusiasmo, occorre fermarsi e riflettere sul vero fabbisogno della scuola, e a quel punto si intuisce che dietro la propaganda sulla “fine del precariato” c'è solo “il minimo dovuto” e tante insidie per la scuola pubblica. Una fotografia più ampia del sistema ci rivela infatti che nel triennio preso in esame è già previsto che circa centomila docenti ed Ata andranno in pensione e che attualmente esistono montagne di sentenze contro il Ministero dell'Istruzione a causa della mancata stabilizzazione del personale che ha già avuto tre contratti a tempo determinato. Una questione su cui si interroga l'Unione Europea che sarebbe pronta ad avviare un procedimento di infrazione che potrebbe costare all'Italia sanzioni fino a 4 miliardi di euro. La stessa cifra prevista da Renzi per attuare il piano di assunzioni.
Fatta questa premessa, a quali condizioni si attuerebbe la riforma? Il richiamo più esplicito è al merito dietro il quale si cela la più grande convergenza con le politiche fin qui sostenute anche dal centrodestra, come ha fatto notare Piero Bernocchi dei Cobas: “Riparte la geremiade sul presunto “merito”, quel quid che nessun ministro o governo è mai riuscito a spiegare cosa sia esattamente per i docenti e gli Ata. Significherà l’imposizione dei criteri degli Invalsiani, quelli della scuola-quiz, nonché l’intervento assillante degli ispettori ministeriali. E in aggiunta, verrà imposto dal 2015-16 il Registro nazionale del personale, che farà lo screening delle sedicenti “abilità” di ognuno/a, fissandole in un Portfolio individuale sul quale verranno conteggiati i presunti “crediti” professionali dei singoli”. E sarà proprio sulla base del Portfolio e dei crediti accumulati che i presidi potranno assumere e che si otterrebbero gli scatti stipendiali: un presunto merito stabilito con graduatorie di istituto, in base alle quali solo il 66% dei “migliori” (data l’aleatorietà dei criteri, sarà il preside ad avere la parola decisiva) avrà uno scatto ogni 3 anni. Di fatto è l'introduzione della legge Brunetta nella scuola: scatti stipendiali e salario accessorio legati al merito, al quale si aggiunge il riscatto del progetto di legge Aprea che prevedeva lo svuotamento degli organi collegiali, delegando all'arbitrarietà dei dirigenti scolastici la facoltà di assumere e licenziare e spalancava l'accesso ai privati che eserciterebbero un ruolo sulle scelte didattiche e sugli obiettivi finali dell'istruzione.
Sulla scuola, in sintesi, sta per abbattersi il modello che prevede lo scambio tra posto di lavoro e diritti. Un pericolo che Renzi ha saputo celare in un pacchetto di 136 pagine chiare, ammiccanti e ben confezionate, che aprendo con l'annuncio delle assunzioni punta in ogni caso a distrarre la classe docente e l'opinione pubblica dalla realtà italiana. Abbattere il precariato non dovrebbe essere un atto di propaganda politica, ma un dovere verso i docenti meno pagati dell'Unione Europea. Ecco, la “buona scuola” riparta da lì.  
Orlando Santesidra, Tratto da Senza Soste cartaceo n. 96, settembre 2014, pagina 3

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