Tagli ai prof, primato italiano

sabato 13 luglio 2013 · Posted in , ,

L'Ocse punta il dito contro il disinvenstimento in istruzione: così si alimenta la crisi

Intanto i ragazzi senza titolo di studio arrivano al 20% 

L'istruzione pesa sempre meno nel bilancio dell'Italia. Si svalutano i titoli di studio, gli insegnanti, gli studenti, le scuole, mentre dovrebbero essere la priorità. Insomma, se esistesse un G8 della conoscenza, l'Italia ne resterebbe fuori. Leggendo i dati dell'ultimo rapporto Education at a Glance dell'Ocse, il sospetto è che l'Italia voglia divorziare dall'istruzione.
Il nostro, avverte l'Ocse, è il Paese in cui la massa dei lavoratori meno istruiti è superiore a quella dei più istruiti. Questo, nonostante il recupero registrato negli ultimi venti anni sul fronte della scolarizzazione secondaria superiore. Se nel 2011, infatti, tra i 55-64enni uomini i diplomati erano poco più del 50%, i 25-34enni erano già più del 70%. Tra le donne il gap è passato da meno del 40% di diplomate 55-64enni a più del 70% delle 25-34enni. Ma se i più giovani corrono a perdifiato per recuperare il distacco, sono proprio loro a soffrire di più gli effetti della crisi. L'attrazione gravitazionale esercitata dalle coorti dei lavoratori più anziani e meno istruiti porta giù le coorti dei lavoratori più istruiti a cui non resta che guardare sempre di più oltreconfine. Un buco nero insomma, in cui il retaggio rischia di pesare eccessivamente su un sistema che sembra soffrire più di altri della crisi del ricambio generazionale e della difficoltà di costruire comunità intorno ai temi dell'educazione.
Svalutazione degli insegnanti
Dopo una fiammata che ha visto crescere, soprattutto dall'inizio a metà dell'ultimo decennio, le aspirazioni degli italiani che hanno iniziato a voler andare all'università, oggi indietreggiamo. L'emorragia di immatricolati all'università è di quelle da codice rosso. Studiare è sempre più un optional, anche perché spesso non ce lo si può più permettere. Ma se al di fuori dei nostri confini nazionali verrebbe in mente, al limite, di valorizzare i docenti per reinvestire sugli studenti, da noi non si corre questo rischio. L'Italia è il Paese dell'Ocse, insieme all'Ungheria, dove sono stati tagliati i salari dei docenti, e in Italia ciò è avvenuto in misura doppia rispetto all'Ungheria. Nella spesa annuale per studente, il valore dei salari dei docenti diminuisce tra il 2005 e il 2011 di più del 26% per i maestri della scuola primaria, e dello stesso periodo diminuisce di più del 25% per i professori (in Ungheria hanno tagliato l'11% dei salari per i maestri e il 13% per i prof).
Giù gli investimenti, sale la depressione cognitiva
Dal 1995 al 2010 gli investimenti stagnano mentre altrove, come in Corea e in Polonia, raddoppiano. Così si spiega come Paesi che hanno iniziato a investire quindici anni fa in istruzione sono oggi in testa alle classifiche mondiali Ocse Pisa dell'apprendimento. Misurando la variazione di spesa in istruzione ricorrendo al deflattore del Pil, che consente di valutare il trend degli investimenti rispetto ad un indice di cambio pari a 100 nel 2005, vediamo che la spesa per studente in istruzione è passata da 96 nel 1995 a 97 punti nel 2000 ed è rimasta a 97 nel 2010. La media Ocse è di 73 nel 95, 84 nel 2000 e 117 nel 2010. Nei Paesi che si sono tuffati a capofitto nella sfida della conoscenza, l'investimento cresce da 15 anni a questa parte. In Finlandia era pari a 81 nel 95, 85 nel 2000, a 112 nel 2010. In Corea da 68 del 2000 è passata a 135 nel 2005. in Polonia passano da 50 nel 95, a 78 nel 2000 a 153 nel 2010. L'Italia invece è rimasta a guardare.
A rischio il patto educativo e le motivazioni
Ma i nodi vengono al pettine proprio con la crisi del 2008. Tra il 2008 e il 2010 risultiamo, secondo l'Ocse, il terzo Paese, dopo Islanda ed Estonia, con il 7% di Pil di tagli all'istruzione. E solo in Italia, insieme a Ungheria e Islanda, il decremento degli investimenti sulle istituzioni scolastiche è stato maggiore del decremento di Pil dall'inizio della crisi. È questo il dato più allarmante. Recentemente Andreas Schleicher, patron di Ocse Pisa, aveva sottolineato come proprio la crisi finanziaria del 2008 abbia enfatizzato il ruolo dell'istruzione nel dettare l'agenda delle priorità. Se così stanno le cose allora sorprende come mai in Italia sono sempre meno i giovani che decidono di non proseguire a studiare all'università o presso istituti superiori e sia in crescita il fenomeno dei neet (not in education, employment and training), arrivato ad interessare, qui da noi, secondo le stime Ocse, più del 20% dei 15-29enni.

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