Foibe, la verità compromessa. Intervista alla studiosa Claudia Cernigoi

mercoledì 4 luglio 2012



Silenzio.
Un silenzio funereo.
Cavità,
e buio,
ed ancora silenzio.
Violenza nella violenza,
verità ribelle,
violentata dalla Storia che deve offuscare la libera Resistenza,
offuscata dalla voce del lamento
dall'Inno di quel sacramento
ululante nell'umanità disumana.
Foibe. M.B.


Il 10 febbraio si celebra il Giorno del ricordo, istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, concede anche un riconoscimento ai congiunti degli infoibati. Cosa sono state realmente le foibe? Cosa è accaduto nella terra di Confine? Quale è la verità sul caso foibe? Esiste un caso foibe? Esiste un processo di revisionismo storico? Di tutto ciò ne parleremo con la giornalista e studiosa Claudia Cernigoi.

1) Come posso presentarti?
Sono una giornalista che dopo avere indagato sulla strategia della tensione (neofascismo, stragismo, “misteri d’Italia”), ad un certo punto ha iniziato a dedicarsi alla ricerca storica sulla seconda guerra mondiale, Resistenza, collaborazionismo e poi, di conseguenza, anche le “foibe”. In effetti sono diventata “famosa” proprio per via delle mie ricerche sulle foibe, anche se, voglio precisare, non ho studiato solo le foibe.
2) Il giorno del ricordo, così come strutturato, rientra nell'intento del processo di revisionismo storico? Come si può definire il revisionismo storico?
Revisionismo storico, di per se stesso, non dovrebbe avere un significato negativo. Ovvio che se si scoprono nuovi documenti che permettono di leggere in ottica diversa fatti prima interpretati in un certo modo, “rivedere” le interpretazioni storiche è doveroso e non negativo. Il fatto è che una parte della storiografia, che più che storia fa politica, anzi, propaganda politica, ad un certo punto ha deciso di dimostrare, storicamente, la negatività politica del movimento di liberazione comunista e non nazionalista, e pertanto si è iniziato a leggere i fatti storici in un’ottica che storica non è, ma politica. Ne consegue che si è iniziato anche a dare valutazioni politiche (e morali, cosa per me inaccettabile quando si parla di storia) sugli eventi storici. Faccio un esempio: quando si condannano le esecuzioni (sommarie o no) di oppositori politici da parte delle forze della Resistenza, senza considerare che tali eventi si sono svolti durante una guerra mondiale che causò milioni di morti, la maggior parte civili, si perde di vista ogni ricostruzione storica, pretendendo di valutare con i nostri valori morali del tempo di pace (“voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case”, scriveva Primo Levi) le azioni avvenute in un periodo in cui, come diceva una canzone partigiana “pietà l’è morta”. Dove la guerra non l’avevano iniziata i partigiani, né i comunisti, né, dalle nostre parti, la Jugoslavia, ma l’aveva iniziata il nazifascismo. Non ci fosse stato il nazifascismo a dichiarare guerra al mondo intero, gli aggrediti non si sarebbero difesi e non avrebbero avuto bisogno di ammazzare nessuno. Non riconoscere questo semplice dato di fatto è revisionismo storico in senso negativo.
Quanto al giorno del ricordo, è una ricorrenza voluta da una lobby trasversale che vuole negare i crimini fascisti cercando di trasmettere l’idea che la Resistenza, soprattutto quella jugoslava, è stata una cosa negativa e non una lotta popolare di liberazione.
 3) Cosa sono state realmente le foibe? Numeri reali di infoibati?
Gli storici Pupo e Spazzali scrivono che...Quando si parla di foibe ci si riferisce alle violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime. È questo un uso del termine consolidatosi ormai, oltre che nel linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale.
Questo è un altro esempio di revisionismo storico in senso negativo. Come può uno storico serio parlare di “significato simbolico e non letterale” relativamente a dei fatti storici? Se una persona è stata fucilata non è stata infoibata, e quindi perché parlarne in modo “simbolico” se non per creare confusione in chi cerca di comprendere questi eventi?
Sintetizzando, possiamo distinguere due periodi storici. Il primo è quello immediatamente successivo all’8 settembre 43, in Istria, quando una sorta di jacquerie seguita al tracollo dell’esercito italiano causò circa 200 morti (effettivamente gettati nelle foibe), che coinvolsero esponenti del fascismo, vittime di rese dei conti e di vendette personali. Considerando che fonti nazifasciste sostennero che per ripristinare “l’ordine” in Istria dopo l’8 settembre vi furono circa 10.000 morti con devastazione di villaggi e campagne, esce spontanea la domanda di quale fu il vero martirio del popolo istriano.
Invece nel maggio 1945 a Gorizia, Trieste e Fiume, dove l’Esercito jugoslavo (che era un esercito alleato e non “cobelligerante” come era l’esercito del Sud italiano) prese il controllo del territorio, vi furono moltissimi arresti di membri delle forze armate (che, ricordiamo, essendo il Litorale Adriatico staccato addirittura dalla Repubblica di Salò per essere annesso al Reich germanico, avevano giurato fedeltà direttamente a Hitler) e di civili collaborazionisti. In tutto scomparvero da Trieste meno di 500 persone, 550 da Gorizia, circa 300 da Fiume. La maggior parte furono militari internati nei campi di prigionia e morti di malattia; da Gorizia e Trieste circa 200 furono i prigionieri condotti a Lubiana o nei posti ove avevano operato e processati per crimini di guerra (tra essi rastrellatori, torturatori, l’ex prefetto di Zara Serrentino che come Presidente del Tribunale speciale per la Dalmazia aveva comminato moltissime condanne a morte di antifascisti…); infine vi furono le vittime di esecuzioni sommarie e vendette personali, ma dalle “foibe” triestine furono riesumate in tutto una cinquantina di salme, 18 delle quali dall’abisso Plutone, dove gli assassini erano criminali comuni e membri della Decima Mas infiltrati nella Guardia del popolo, che a causa di ciò furono arrestati dalle autorità jugoslave (che li condannarono a varie pene). Per questo motivo io non ritengo storicamente valido il concetto di “foibe”, perché in esso vi è una tale diversità di casistiche da non poter rappresentare un “fenomeno” a sé stante, se si esclude la teoria che va per la maggiore sull’argomento, e cioè che queste furono le “vittime” della “ferocia slavo comunista”, teoria che non ha alcun valore storiografico.
4) Cosa voleva dire essere partigiani a Trieste? Cosa voleva dire vivere le persecuzioni nazi-fasciste in Città?
I partigiani a Trieste facevano parte dell’organizzazione Unità Operaia-Delavska Enotnost e lavoravano in clandestinità nelle fabbriche o facendo opera di propaganda e qualche azione specifica in città. Non si sa molto del loro lavoro, purtroppo, su questo la ricerca storica è stata carente. Le repressioni furono ferocissime, coinvolsero non solo i militanti ma anche i loro familiari, le persone arrestate venivano torturate con ferocia, inviate nei campi germanici, uccise in Risiera, molti morivano cercando di scappare o sotto le torture. Cito soltanto le esecuzioni di maggiore entità avvenute nel 1944: 71 ostaggi fucilati ad Opicina il 3 aprile, 51 impiccati il 23 aprile nell’attuale Conservatorio, 11 impiccati a Prosecco il 29 maggio, 19 fucilati ad Opicina il 15 settembre, i 5 membri della missione alleata Molina il 21 settembre…
5) Perchè è importante contestualizzare gli eventi nella questione foibe?
A questa domanda penso di avere già in parte risposto prima. Quando, in sede di dibattito pubblico, il professor Raoul Pupo, alla mia affermazione che parte del CVL di Trieste fu arrestata dagli Jugoslavi perché si erano rifiutati di consegnare loro le armi, come prevedevano gli accordi firmati dal CLNAI con gli Alleati (e la Jugoslavia era un Paese alleato, come Usa e Gran Bretagna), asserì che io ragiono come nel 1945, penso che in realtà mi abbia fatto un complimento come ricercatrice, al di là delle sue reali intenzioni. Per capire cosa accadeva nel 1945 dobbiamo considerare la situazione del 1945, cioè il fatto che l’Europa intera, e non solo Trieste, usciva da una guerra mondiale che aveva causato stragi, fame, distruzione e disperazione; che nella nostra zona le autorità italiane avevano cercato di annullare le minoranze slovena e croata, non solo impedendo loro di parlare nella propria lingua, ma anche con la violenza, bruciando villaggi e deportando civili, vecchi, donne e bambini, che per la maggior parte morirono di stenti nei campi di prigionia come Arbe e Gonars. Ed in una situazione simile a me viene in mente la poesia di Brecht, “noi che volevamo apprestare il terreno alla gentilezza, noi non si poté essere gentili”.
6) La visita prevista di Alemanno alle foibe di Basovizza, può essere considerata provocatoria verso la Resistenza ?
Non credo particolarmente. È da anni che tutti (dalle istituzioni statali e locali ai naziskin di varia estrazione, a Padania Cristiana, alle organizzazioni degli esuli…) vengono in pellegrinaggio sulla foiba di Basovizza. Escludendo le istituzioni, che semplicemente hanno fatto propria la teoria degli “opposti estremismi”, cioè vi sono stati sia i crimini dei nazifascisti che quelli dei partigiani (“accostamento aberrante”, lo definì più di trent’anni fa il professor Miccoli dell’Università di Trieste), in genere si tratta di un segno fideista di anticomunismo e di apologia del fascismo, con dovizia di saluti romani e grida “camerati presenti”. Alemanno non può certamente fare peggio di questi qua.
7) Quanto possono essere educative o diseducative le visite scolaresche alle foibe, che puntualmente ogni anno vengono organizzate per e nel Giorno del ricordo?
Sarebbero educative se si contestualizzasse e si spiegasse la reale entità del “fenomeno”. Ma dato che la visita alla foiba di Basovizza è vista normalmente come il contraltare a quella alla Risiera di San Sabba, ciò che rimane ai ragazzi è che vi furono appunto i due “opposti estremismi”, le due “ideologie” che provocarono i drammi in Europa, con il sottinteso elogio della “zona grigia”, del qualunquismo di coloro che non si schierarono e lasciarono che gli altri prendessero le decisioni (e le armi) aspettando che qualcuno vincesse.
Così come sono, in effetti, sono molto diseducative.
8) Giungono voci di una tua nuova opera...puoi dare qualche anticipazione?
Sì, si tratta di uno studio sull’Ispettorato Speciale di PS, la cosiddetta “banda Collotti”, nel quale oltre a raccontare l’operato di questo corpo di repressione nazifascista, finisco col parlare della Resistenza nella nostra zona ed anche delle ripercussioni che nel dopoguerra ebbero questi eventi.

Marco Barone

Note: Foto tratta da Nuova Alabarda: Esplorazione speleologica 1943 (foto Carlos Bordon)

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