APPELLO ALL'UNITA' DELLE LOTTE

domenica 30 ottobre 2011


 
Non si può chiedere a un popolo di suicidarsi per non disturbare l'ordinato scorrere dell'economia, né a un governo di prestarsi a fare da killer a tempo indeterminato.
Nel gioco di specchi della finanza globale un popolo dalla grande storia, dalle modeste dimensioni, dalla modestissima economia, rompe col suo “esser contro” la trama del nuovo ordine in costruzione. Un popolo che da un anno e mezzo non ha cessato un momento di lottare e che, a un certo punto, obbliga il proprio governo a chiedere un'autorizzazione a proseguire sulla stessa strada.
 
Solo l’annuncio del referendum del primo ministro greco, George Papandreu, sul piano di salvataggio messo a punto dall'Unione europea, con il rischio che il progetto possa essere bocciato provocando il default dello Stato ellenico, manda al tappeto i listini europei. Francoforte cede il 3,88%, Parigi il 3,65%, Madrid il 3,56% e Londra il 2,36%. Ancora peggio fa Milano, Piazza Affari perde il 7%.
 
“Facciamo come in Grecia”, ora, non significa più “facciamo casino e basta”, come viene scritto sui giornali perbenisti di centrosinistra, ma assume il valore di un'indicazione politica praticabile, che rovescia i termini del dilemma “debito”. Ora si può e si deve tornare in piazza e dire “noi il debito non lo paghiamo”. Siamo tutti più forti, oggi. E il fatto che le borse se ne lamentino è la dimostrazione che siamo dal lato giusto della Storia.
 
Non siamo convinti che bastino gli incidenti di Piazza San Giovanni del 15 ottobre scorso a giustificare questo modo assurdo di atteggiarsi, tanto è vero che gli unici che continuano a parlarne tra loro in modo insistente sono i soggetti di movimento e se ne parla solo nelle assemblee.
Il tema della violenza è sparito dai media, dai salotti televisivi, dai giornali e sì che, si era visto sin dalle ore successive, era un tema che poteva tornare comodo per distogliere lo sguardo dalla sostanza vera della crisi economica.
Ci viene il dubbio che avvedutamente le centrali informative di questo paese abbiano capito che sarebbe opportuno dare altro spazio a quel tipo di reazione sociale applicando leggi selvaggiamente repressive ed eccezionali, soprattutto in una fase in cui la oppressione sociale dei ceti più deboli è già alta ed è destinata a raggiungere limiti molto pericolosi.
 
Bene, “loro” lo hanno capito che in un momento come questo la “macelleria sociale” che stanno preparando non può essere accompagnata anche da una feroce repressione poliziesca e da leggi speciali, ma anzi bisogna offrire un’ immagine rassicurante, come con il “poliziotto buono” e il “poliziotto cattivo”.
E allora ecco banchieri e industriali che chiedono di prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di una “patrimoniale”, una volta cosa da comunisti (patrimoniale sì, ma assieme all’innalzamento dell’età pensionabile e alla riforma del mercato del lavoro), o esponenti dell’opposizione parlamentare che si affannano a rassicurare “se verremo chiamati, ci prenderemo le nostre responsabilità”.
“Loro” di violenza nelle piazze non ne parlano più, sono più interessati a recitare tutti le loro parti in commedia avendo lo stesso univoco scopo, colpire sempre dalla stessa parte, cioè noi
 
Ma NOI LO ABBIAMO CAPITO? Se lo avessimo capito il dibattito inconcludente su violenza sì - violenza no avrebbe attraversato solo per qualche giorno le nostre assemblee e non avrebbe dilaniato il movimento così come sta facendo, e a quest’ora avremmo ripreso il cammino unitario e popolare che pure la giornata del 15 ottobre aveva mostrato con forza e compattezza, staremmo a parlare di come e quali forme di lotta contro le imposizioni del governo, contro l’asservimento dei sindacati di regime, contro l’ipocrisia delle forze politiche che ci chiedono ora un voto per un’alternativa che in realtà dovrà continuare a soddisfare i desideri famelici della finanza e della speculazione internazionali.
E invece ci ritroviamo rinchiusi nei nostri “storici” orticelli, ognuno falsamente appagato della propria inconsistenza.
La situazione è talmente grave che non possiamo fare a meno di rinnovare un appello urgente non solo a ritrovare e ricostruire uno spirito unitario, ma anche e soprattutto a trovare modalità di reazione sociale a questo sfacelo che vadano ad incidere materialmente sui bisogni delle persone.
 
COBAS INPSAP

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